Nell’immagine: la Sala dei Giganti vista da una delle pareti brevi. Fonte: Università degli Studi di Padova (Ph.: Massimo Pistore).
Per il terzo concerto di PadovAntiqua 2016, gli organizzatori hanno scelto di riproporre la Sala dei Giganti, dove già l’anno scorso era stato ospitato uno degli appuntamenti musicali del festival. La prima ragione di ciò è pratica: la sala afferisce agli ambienti dell’Università di Padova (è adiacente e praticamente inglobata nella struttura del Palazzo Liviano) e al suo interno si svolgono le prove del Coro da Camera del Concentus Musicus Patavinus, il cui Maestro, Ignacio Vazzoler, è anche co-direttore artistico di PadovAntiqua - per cui conosce molto bene questa location. La seconda ragione, assai più significativa, è di ordine estetico: la Sala dei Giganti rappresenta infatti uno dei maggiori capolavori artistico-architettonici di tutta Padova, legata oltretutto ai “secoli d’oro” della storia cittadina.
La storia del luogo inizia nel medioevo quando Padova era signoria della famiglia dei Carraresi, la cui reggia sorgeva nella zona corrispondente all’attuale Piazza Capitaniato con le vie adiacenti; fu Francesco I da Carrara, nella seconda metà del Trecento, che decise di abbellire la sala di rappresentanza della reggia facendola decorare con un ciclo di affreschi. Per il soggetto dei dipinti, Francesco volle ispirarsi a un’opera redatta in latino da un celebre poeta e letterato suo amico e pure omonimo: Francesco Petrarca. L’opera in questione era il De viris illustribus, che narrava la vita di eroi e personaggi storici (in gran parte dell’antica Roma) distintisi per imprese militari, statura morale e intellettuale. Il progetto pittorico venne quindi affidato a un gruppo di artisti; tra cui probabilmente figuravano Altichiero da Zevio e Jacopo Avanzi; del loro lavoro oggi però non resta che una minima traccia, per la precisione uno solo dei ritratti ovvero proprio quello del Petrarca (visibile sul lato corto della sala opposto all’entrata principale).
E gli altri, che fine hanno fatto? Semplice: già nel Cinquecento la decorazione della sala (allora in pessimo stato di conservazione) venne sostituita da una nuova, che pure voleva riproporre lo stesso tema degli “uomini illustri”, giganti in senso storico e anche letterale (le figure sono di dimensioni enormi, coprendo quasi l'intera altezza delle pareti). Con i dovuti “aggiustamenti”, ovviamente, nella scelta dei soggetti per venire incontro alle mutate esigenze politiche: nel frattempo infatti Padova era finita sotto il dominio di Venezia e la reggia dei Carraresi era stata adibita a sede del Capitanio (comando militare cittadino per conto della Serenissima). Sui lati lunghi vennero riproposti gli eroi della Roma antica (più l’imperatore Carlo Magno), su quelli brevi furono invece raffigurati personaggi illustri della storia cittadina. Il restauro, indetto dall’allora capitano di Padova Girolamo Corner (Cornaro nella versione italianizzata del cognome), fu realizzato tra il 1539 e il 1541 dai pittori Domenico Campagnola, Stefano Dall’Arzere e altri, arrivando intatto fino ai giorni nostri (grazie anche a recenti opere di restauro) come uno degli esempi più significativi di decorazione celebrativo-didascalica rinascimentale.
Per il terzo concerto di PadovAntiqua 2016, gli organizzatori hanno scelto di riproporre la Sala dei Giganti, dove già l’anno scorso era stato ospitato uno degli appuntamenti musicali del festival. La prima ragione di ciò è pratica: la sala afferisce agli ambienti dell’Università di Padova (è adiacente e praticamente inglobata nella struttura del Palazzo Liviano) e al suo interno si svolgono le prove del Coro da Camera del Concentus Musicus Patavinus, il cui Maestro, Ignacio Vazzoler, è anche co-direttore artistico di PadovAntiqua - per cui conosce molto bene questa location. La seconda ragione, assai più significativa, è di ordine estetico: la Sala dei Giganti rappresenta infatti uno dei maggiori capolavori artistico-architettonici di tutta Padova, legata oltretutto ai “secoli d’oro” della storia cittadina.
La storia del luogo inizia nel medioevo quando Padova era signoria della famiglia dei Carraresi, la cui reggia sorgeva nella zona corrispondente all’attuale Piazza Capitaniato con le vie adiacenti; fu Francesco I da Carrara, nella seconda metà del Trecento, che decise di abbellire la sala di rappresentanza della reggia facendola decorare con un ciclo di affreschi. Per il soggetto dei dipinti, Francesco volle ispirarsi a un’opera redatta in latino da un celebre poeta e letterato suo amico e pure omonimo: Francesco Petrarca. L’opera in questione era il De viris illustribus, che narrava la vita di eroi e personaggi storici (in gran parte dell’antica Roma) distintisi per imprese militari, statura morale e intellettuale. Il progetto pittorico venne quindi affidato a un gruppo di artisti; tra cui probabilmente figuravano Altichiero da Zevio e Jacopo Avanzi; del loro lavoro oggi però non resta che una minima traccia, per la precisione uno solo dei ritratti ovvero proprio quello del Petrarca (visibile sul lato corto della sala opposto all’entrata principale).
E gli altri, che fine hanno fatto? Semplice: già nel Cinquecento la decorazione della sala (allora in pessimo stato di conservazione) venne sostituita da una nuova, che pure voleva riproporre lo stesso tema degli “uomini illustri”, giganti in senso storico e anche letterale (le figure sono di dimensioni enormi, coprendo quasi l'intera altezza delle pareti). Con i dovuti “aggiustamenti”, ovviamente, nella scelta dei soggetti per venire incontro alle mutate esigenze politiche: nel frattempo infatti Padova era finita sotto il dominio di Venezia e la reggia dei Carraresi era stata adibita a sede del Capitanio (comando militare cittadino per conto della Serenissima). Sui lati lunghi vennero riproposti gli eroi della Roma antica (più l’imperatore Carlo Magno), su quelli brevi furono invece raffigurati personaggi illustri della storia cittadina. Il restauro, indetto dall’allora capitano di Padova Girolamo Corner (Cornaro nella versione italianizzata del cognome), fu realizzato tra il 1539 e il 1541 dai pittori Domenico Campagnola, Stefano Dall’Arzere e altri, arrivando intatto fino ai giorni nostri (grazie anche a recenti opere di restauro) come uno degli esempi più significativi di decorazione celebrativo-didascalica rinascimentale.